Campocatino, il silenzio che parla alla Garfagnana.
A mille metri d’altitudine, un santuario circondato tra le vette delle Alpi Apuane, l’Oasi di Campocatino custodisce un segreto che gli escursionisti più attenti sognano di scoprire. Quassù, di fronte al gigante di roccia della Roccandagia, si abbandonano i rumori molesti della civiltà.
Ad accogliere i visitatori sono i celebri caselli, antiche dimore pastorali del ‘500 che sembrano uscite da un presepe vivente. Queste strutture in pietra grigia, disposte a ferro di cavallo sul pianoro, raccontano storie di transumanza e formaggi stagionati al riparo di volte in sasso. Oggi, trasformati in silenziosi testimoni del passato, i caselli sorprendono per i dettagli curati: statue primitive scolpite nella roccia, gerani che esplodono da mastelli di legno, cancelli di castagno consumati dalle intemperie. Camminarci attorno, specialmente all’alba quando la nebbia avvolge il pianoro, è un viaggio senza mappa nella Toscana più autentica.
Campocatino non è solo un museo a cielo aperto, ma un crocevia per esplorare l’anima selvaggia delle Apuane. I sentieri si diramano come vene: per famiglie, c’è l’anello dei caselli, un percorso ad anello tra pascoli punteggiati di orchidee selvatiche. Gli spiriti avventurosi possono sfidare la salita alla Roccandagia, dove lo sguardo abbraccia la Garfagnana fino al mare, mentre i puristi della storia seguono la Via della Transumanza, antica rotta che collega i pascoli a Vagli Sotto attraverso boschi di castagni secolari.
Dal 1991, grazie alla protezione della LIPU, Campocatino è diventato un santuario per gli uccelli. L’oasi nasconde un trucco ecologico: la vicinanza tra ambienti diversi – rocce nude, boschi, praterie – crea un condominio ideale per rapaci e uccelli di montagna. Basta sedersi su una delle panchine di legno per assistere allo spettacolo: poiane che disegno cerchi termici, cuculi che rimbombano tra i faggi, e se si è fortunati, l’aquila reale in picchiata verso la valle. I cartelli didattici lungo i percorsi svelano curiosità, come il modo di distinguere il volo del falco pecchiaiolo da quello dello sparviere.
Raggiungere Campocatino è molto semplice: da Castelnuovo di Garfagnana una stradina stretta ma panoramica sale a tornanti fino al parcheggio (piccolo, meglio arrivare presto). Le stagioni ridisegnano continuamente il luogo: a maggio i prati sono tappeti di narcisi, ottobre incendia i boschi di rosso, l’inverno trasforma i caselli in scenografie per fiabe nordiche (attenzione alla neve sulla strada). Non ci sono ristoranti, ma proprio questa assenza completa il sortilegio: il rumore di uno zaino che s’apre per estrarre un panino diventa parte della sinfonia naturale.
Qui non troverai “selfie-point” o “gadget”, ma qualcosa di più raro: il privilegio di camminare in un luogo dove l’uomo ha lasciato un’impronta leggera, quasi reverenziale. È ideale per chi cerca non solo un’escursione, ma un “reset-mentale”: il fruscio del vento tra i caselli sembra sussurrare una verità semplice, quella che sulle montagne vere il tempo non si perde, si ritrova.