Il Billar man e riflessioni sul selvaggio [Altopiano di Asiago]

Una delle peculiarità dell’Altopiano di Asiago è la persistenza, a discapito del tempo, della cultura Cimbra. Si tratta di una minoranza di origine germanica stabilitasi in quest’area presumibilmente intorno all’anno mille. La caratteristica più evidente è la lingua, tutt’ora parlata in qualche sparuto villaggio, che può essere assimilata al tedesco medievale. Moltissimi toponimi dell’altopiano risentono di questa influenza (Altar Knotto, Spitz Verle etc), ma la tradizione di questa popolazione non si ferma alla sola lingua. Stiamo parlando di una millenaria cultura fatta anche di miti e leggende tramandate per lo più oralmente da generazioni. Così le valli, i monti, gli abissi di questo luogo selvaggio si popolano di streghe, orchi e altre creature mitologiche. Si tratta principalmente di storie semplici, in cui, però fanno capolino tematiche antiche e spesso ricorrenti nell’immaginario umano.

La storia del Billar Man narra di un uomo coperto di pelli che vive di caccia e bacche in una caverna sui monti vicino a Cesuna. A causa del suo aspetto non civile la sua vista spaventa gli abitanti del villaggio. Di tanto in tanto scende in paese per compiere piccoli furti dalle dispense (salsicce, pane etc), senza però far mai male a nessuno. Durante una di queste spedizioni, il Billar Man si imbatte in una bellissima ragazza. Senza capire cosa succedesse l’uomo si sente irresistibilmente attratto dalla sua bellezza. E’ un attimo, donna spaventatissima, l’uomo in preda al desiderio, il rapimento è la soluzione più scontata. La donna viene così segregata all’interno della caverna, chiusa da un pesante macigno. La donna piange e si dispera, ma da quell’unione forzata nascono due bambini, che vivono felici accanto al padre, cacciando e raccogliendo bacche. Anni dopo la donna viene liberata da alcuni cacciatori che passava casualmente da quelle parti, portando con sé in paese i figli. Quando il Billar Man si accorge di ciò che è successo scende furioso in paese, dove trova ad aspettarlo l’intera cittadinanza con i forconi in mano. L’uomo sbraitando dice: “Va bene per la donna, ma ridatemi almeno i figli”, ma viene malamente scacciato, fuggendo sui monti e da quel momento non è mai più stato visto.

Ma chi era questo Billar Man? Il suo nome ci da alcuni utili spunti di riflessione. Sul vocabolario di lingua cimbra (si, esiste!) il termine billar è tradotto come “matto”, ma non ha senso che quest’uomo fosse un matto. Ci viene in aiuto il nome di alcuni animali. In cimbro il bue si chiama Okso, il cervo Billar Okso (bue pazzo?), la capra si chiama Goas, lo stambecco Billar Goas (capra pazza?), il gallo Haano, l’urogallo Billar Haano (gallo pazzo?). E’ evidente che i nomi di questi animali con la pazzia abbiano poco a che fare, ma che il termine Billar Goas, ad esempio, vada inteso come capra selvatica = stambecco (così come ha senso chiamare l’urogallo gallo selvatico). Alla luce di questo anche il Billar Man assume, come molti avranno intuito già dall’inizio del discorso un significato più consono: il selvaggio. Ed ha un senso non solamente perché vive in una caverna, veste di pelli e vive di caccia e raccolta, ma anche perché la figura dell’uomo selvatico è presente in tutto l’arco alpino e non solo, come uno dei personaggi più diffusi delle leggende (di antica origine). Ma allora perché Billar viene tradotto come Matto? Io penso che la follia, soprattutto nelle piccole comunità isolate fosse intesa come il non rispetto delle convenzioni sociali (sociale = civile)della comunità. Coloro che non osservavano comportamenti dettati dalle norme del vivere civile, comportandosi, quindi, come selvaggi erano etichettati come pazzi, o meglio, i due termini (pazzo e selvaggio) andavano a coincidere per tutti coloro che vivessero ai margini sia fisici che morali della società civile formata dal territorio urbano del villaggio e delle sue leggi. Mi riporta tanto alla mente la divisione tra civiltà e natura (divisione però sempre permeabile) nota anche ai latini, dove nello spazio della prima regnavano dei e leggi, mentre la seconda era regno di pericolo e arbitrarietà ben rappresentate da divinità selvagge e ambigue come Fauno. Ma la natura selvaggia non è mai negativa in senso assoluto. E’ un luogo ambiguo, tanto pericoloso quanto fertile di risorse e insegnamenti. Tanto spaventoso quanto capace di ispirare. Fauno poteva regalare vaticini, gli uomini selvaggi delle leggende alpine spesso hanno insegnato qualcosa agli uomini civilizzati dei villaggi e lo stesso Billar Man si mostra, alla fine più umano e meno “folle” degli abitanti del villaggio che gli negano l’affetto (sincero e ricambiato) dei figli.

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