Alla Scoperta dei Laghi di Palanfrè

Trekking tra Faggi secolari e specchi d’acqua alpini. Le Alpi Marittime custodiscono un angolo di paradiso dove natura si intreccia con la storia: l’anello dei Laghi di Palanfrè è un itinerario escursionistico completo, di media difficoltà, in Valle Vermenagna. Sin dai primi dislivelli ci regala paesaggi selvaggi, sino a raggiungere laghi glaciali dall’acqua cristallina e l’incontro con la fauna selvatica è cosa certa!
Consiglio sempre di portare la macchina fotografica o il binocolo per avvistare Camosci, Aquile reali e, in autunno, ascoltare il bramito dei Cervi.

Il trekking inizia dalla borgata di Palanfrè, villaggio “semi-abbandonato” nel comune di Vernante (CN), dove il “Rifugio L’Arbergh” accoglie i camminatori con i profumi della tradizione gastronomica locale. Da qui, il sentiero si inoltra nel “Bosco del Bandito”, una riserva naturale protetta sin dal 1979. Questa faggeta secolare, con alberi ultrasecolari dal tronco monumentale è un labirinto di luce e ombre, dove i raggi del sole filtrano tra le chiome creando giochi cangianti. Leggende locali parlano di creature magiche nascoste tra i tronchi, gli “Gnomi dei Faggi”, difatti è divertente cercare alcune delle sculture lignee che artisti hanno lasciato lungo il sentiero!

Il percorso, accompagnato dal rumore del torrente Val Grande, sale gradualmente, svelando piccole cascate e massi levigati dall’acqua.

 

Il bosco lascia spazio a pascoli d’alta quota, punteggiati di rododendri e genziane. È qui che si incontrano le prime Marmotte e i Gracchi alpini, uccelli acrobatici dalle piume nere lucenti. Raggiunto il Gias Vilazzo, antico insediamento pastorale, si prosegue verso il “Lago degli Alberghi” (2.150 m), uno specchio turchese incastonato tra le rocce del Monte Chiamossero.

La vera perla dell’itinerario, però, attende chi ha fiato per salire ancora: i Laghi del Frisson (rispettivamente 2.200 m e 2.335 m), collegati da un sentiero panoramico che offre vedute mozzafiato sulla piramide rocciosa del Monte Frisson. L’acqua, fredda e trasparente, riflette il cielo e le cime circostanti, creando un quadro naturale di rara bellezza.

Il “periodo ideale” a mio parere va da Giugno sino ad Ottobre, anche perchè d’inverno con la neve e il ghiaccio è assai pericolo. Mi raccomando, sempre scarponi da trekking, bastoncini e una giacca antivento per i tratti più esposti.

Al rientro, tappa golosa al Rifugio L’Arbergh: la ristorazione alla Locanda l’Arbergh è caratterizzata da una cucina casalinga che utilizza prevalentemente prodotti locali. Nota di merito per i taglieri di salumi con i formaggi di Palanfrè. Un’esplosione di sapori e di colori con marmellate, frutta e verdure che fanno da contorno ad un piatto unico nel suo genere.
Inoltre, prima di lasciare la valle, dedicate un’ora a Vernante, il paesino con 150 murales dedicati al burattino più famoso del mondo: Pinocchio!

La diga del Vajont

Trui del Sciarbon, il sentiero del carbone

Il modo migliore per conoscere il Vajont è camminarvi all’interno, percorrendo uno dei numerosi sentieri che lo attraversano.

Lontano dalla strada di fondovalle, senza il rumore dei motori, a stretto contatto con la natura impervia e selvaggia di una valle secondaria balzata improvvisamente all’attenzione della cronaca, solo tra queste rocce si può comprendere cosa avvenne 60 anni fa.

Un racconto di ambizioni umane che portarono alla realizzazione di quest’opera di ingegneria che, nonostante la tragedia, non ha eguali e rappresenta ancora oggi un’università a cielo aperto.

https://escursionitrekking.it/evento/vajont-da-erto-a-casso/

Il monte delle Giunchiglie

Alpi Apuane, dove la roccia dialoga con le nuvole e i prati erbosi popolano ogni primavera i monti a valle, come il Monte Croce (1.314 m) che a maggio indossa un mantello di Giunchiglie: milioni di narcisi selvatici che ondeggiano come una marea bianca sotto lo sguardo attento della Regina delle Apuane: La Pania della Croce.

La via che prediligo per raggiungere questo santuario botanico parte da Palagnana (764 m), “borgo-fantasma” aggrappato alla Turrite dove il tempo sembra essersi  fermato. Raggiunto il borghetto si imbocca il sentiero CAI 8 verso la Foce delle Porchette (è come sfogliare un libro di geologia, dove si passa dall’asprezza del calcare al morbido abbraccio delle praterie fiorite) seguendo la sorgente del Pallino – vero e proprio occhio d’acqua che scruta la valle – che segna l’inizio dell’ascesa finale, dove i segnavia blu appaiono come puntini di vernice lasciati da un pittore frettoloso. Dopo un piacevole sali e scendi si arriva facilmente alla cima, dove una croce di ferro battuto – nuda, ed essenziale – fa da contrappunto alla sontuosità del panorama. Da qui le Panie mostrano il loro profilo migliore, mentre l’Appennino si stende come una pergamena antica.

Ma la vera magia è sotto i piedi: i botanici parlano di Narcissus poeticus, i vecchi del posto di “fiori delle anime perse”: si dice che ogni esemplare sbocciato rappresenti un viandante che qui lasciò il cuore. Questo fenomeno stagionale sopravvive per un fragile equilibrio, difatti ai narcisi “non piace essere calpestii” le radici sono fragili come filigrana. La sfida di noi Guide Naturalistiche è preservare la magia senza imbalsamarla, perché come scriveva un vecchio raccoglitore di castagne: “Le giunchiglie fioriscono solo dove l’uomo passa senza lasciare ombra”.

Ma la magia non finisce qui.. nella via del ritorno cercate le “scritte fantasma” sulle rocce calcaree, dove i pastori incisero per secoli messaggi ora illeggibili, cifre segrete della transumanza.

Oasi di Campocatino: Un Angolo di Paradiso tra le Alpi Apuane

Campocatino, il silenzio che parla alla Garfagnana.
A mille metri d’altitudine, un santuario circondato tra le vette delle Alpi Apuane, l’Oasi di Campocatino custodisce un segreto che gli escursionisti più attenti sognano di scoprire. Quassù, di fronte al gigante di roccia della Roccandagia, si abbandonano i rumori molesti della civiltà.

Ad accogliere i visitatori sono i celebri caselli, antiche dimore pastorali del ‘500 che sembrano uscite da un presepe vivente. Queste strutture in pietra grigia, disposte a ferro di cavallo sul pianoro, raccontano storie di transumanza e formaggi stagionati al riparo di volte in sasso. Oggi, trasformati in silenziosi testimoni del passato, i caselli sorprendono per i dettagli curati: statue primitive scolpite nella roccia, gerani che esplodono da mastelli di legno, cancelli di castagno consumati dalle intemperie. Camminarci attorno, specialmente all’alba quando la nebbia avvolge il pianoro, è un viaggio senza mappa nella Toscana più autentica.

Campocatino non è solo un museo a cielo aperto, ma un crocevia per esplorare l’anima selvaggia delle Apuane. I sentieri si diramano come vene: per famiglie, c’è l’anello dei caselli, un percorso ad anello tra pascoli punteggiati di orchidee selvatiche. Gli spiriti avventurosi possono sfidare la salita alla Roccandagia, dove lo sguardo abbraccia la Garfagnana fino al mare, mentre i puristi della storia seguono la Via della Transumanza, antica rotta che collega i pascoli a Vagli Sotto attraverso boschi di castagni secolari.

Dal 1991, grazie alla protezione della LIPU, Campocatino è diventato un santuario per gli uccelli. L’oasi nasconde un trucco ecologico: la vicinanza tra ambienti diversi – rocce nude, boschi, praterie – crea un condominio ideale per rapaci e uccelli di montagna. Basta sedersi su una delle panchine di legno per assistere allo spettacolo: poiane che disegno cerchi termici, cuculi che rimbombano tra i faggi, e se si è fortunati, l’aquila reale in picchiata verso la valle. I cartelli didattici lungo i percorsi svelano curiosità, come il modo di distinguere il volo del falco pecchiaiolo da quello dello sparviere.

Raggiungere Campocatino è molto semplice: da Castelnuovo di Garfagnana una stradina stretta ma panoramica sale a tornanti fino al parcheggio (piccolo, meglio arrivare presto). Le stagioni ridisegnano continuamente il luogo: a maggio i prati sono tappeti di narcisi, ottobre incendia i boschi di rosso, l’inverno trasforma i caselli in scenografie per fiabe nordiche (attenzione alla neve sulla strada). Non ci sono ristoranti, ma proprio questa assenza completa il sortilegio: il rumore di uno zaino che s’apre per estrarre un panino diventa parte della sinfonia naturale.

Qui non troverai “selfie-point” o “gadget”, ma qualcosa di più raro: il privilegio di camminare in un luogo dove l’uomo ha lasciato un’impronta leggera, quasi reverenziale. È ideale per chi cerca non solo un’escursione, ma un “reset-mentale”: il fruscio del vento tra i caselli sembra sussurrare una verità semplice, quella che sulle montagne vere il tempo non si perde, si ritrova.

Alta Valle Maira

HikingTrek in Alta Valle Maira con partenza dalle Sorgenti del Maira ed arrivo al Colle delle Munie o in francese Colle de Monges

In questa escursione ad anello si partirà dalle Sorgenti del Maira a 1662m, percorrendo un bel bosco di larici si sale a quota 1900m dove la vista si apre sulle magnifiche Dolomiti Cuneesi.

Si percorrerà il sentiero Piero Frassati e una parte del sentiero Cavallero, il sentiero n°17 e sentiero n° 15 con intersezione con il sentiero del Trek dei 7 laghi.

Un giro ad anello di lunga percorrenza ma che permette di godere di tutto ciò che le Alpi Dolomiti Cuneesi promettono : si toccheranno il Passo della Cavalla, il Monte Soubeyran e Colle delle Munie in ascesa mentre in discesa si incontreranno il bivacco Bonelli con vista sul lago d’ Apsoi, ultimo ma non meno importante verso la fine dell’escursione si incontrerà anche il lago Visaia

18 km / D+ 1100m

Giro ad anello

Escursione sul "Tetto della Toscana"

La nostra avventura ha inizio nello storico Casone di Profecchia, un punto di riferimento per gli amanti della montagna e della buona cucina casereccia. Questo luogo, noto per l’ottima cucina casalinga, coniuga i sapori tradizionali della Garfagnana alla raffinata ricchezza della grande cucina emiliana.
Oltre ad essere considerato un centro turistico, l’Hotel conserva ancora tutto il fascino dell’antica stazione di posta per il cambio dei cavalli. Famoso d’inverno per l’atmosfera e le copiose nevicate è possibile vedere i cavalli attraversare i sentieri, come mi capitò circa trent’anni fa quando da piccolo fotografai un paio di cavalli neri lungo un sentiero innevato.

Nella stagione estiva, è possibile praticare senza troppi sforzi delle escursioni fantastiche a confine con l’Emilia Romagna. Ed è qui che il nostro gruppo, carico di entusiasmo e zaini in spalla, si addentra nel fitto bosco, tra l’aria fresca del mattino e il canto degli uccelli che ci accompagnano in questa salita che promette emozioni uniche. Il rumore dei rami sotto i nostri piedi e l’odore della terra umida ci avvolgono, creando un’atmosfera magica.

Superata la prima salita, con il fiatone e lo sguardo rivolto verso l’alto, raggiungere la vetta del Monte Prado, nonostante sia considerato “il tetto della Toscana” (perchè si si erge maestoso a 2054 metri di altitudine) è considerata una piacevole camminata tra dolci vette in un regolare “sali e scendi” circondati dalle nuvole, ci concediamo un momento di pausa per ammirare il mondo che si estende ai nostri piedi. Una vista che solo pochi eletti possono godere, e noi eravamo tra questi. Il cielo limpido ci permette di vedere altre montagne in lontananza, e la sensazione di essere in cima al mondo è indescrivibile.

La discesa al Lago Bargetana è un’ulteriore conferma della bellezza selvaggia di questi luoghi. L’acqua cristallina del lago, incastonata tra le rocce, è un vero e proprio gioiello della natura. Durante la discesa, incontriamo alcuni animali selvatici e ci fermiamo per osservare la flora locale.

Per completare il nostro anello, torniamo al rifugio Cella attraverso la strada forestale, immergendoci in un paesaggio che sembra uscito da un racconto di montagna. Scendendo lungo le piste da sci, con la blu centrale che ci guida, ritroviamo il Casone di Profecchia, il punto di partenza di questa indimenticabile giornata. Durante il ritorno, condividiamo storie e risate, rafforzando i legami del nostro gruppo.

Il trekking al Monte Prado non è solo una camminata: è un’immersione nella natura incontaminata, un’esplorazione di panorami che restano impressi nella memoria, e un’esperienza di gruppo che rafforza legami e crea ricordi indelebili.
Una vera e propria avventura sul “Tetto della Toscana” dove la montagna ci racconta storie di bellezza e di forza, invitando chi la visita a rispettarla e ad amarla.

Rifugio Mondovì e la Cima delle Saline in Val Ellero

Il nostro viaggio ha inizio alla Porta di Pian Marchisio, dove ci accoglie una suggestiva vista panoramica. Da qui, seguiamo una strada sterrata che scende dolcemente nella piana pascoliva di Pian Marchisio. Questa ampia conca, di origine lacustre, è dominata dalla maestosa Cima delle Saline, che si staglia imponente sullo sfondo, donando al paesaggio un’aura di solennità e bellezza.

Raggiungiamo il fondo della discesa e, dopo aver guadato il Torrente Ellero, proseguiamo lungo un tratto pianeggiante che ci accompagna a fianco del torrente.
La sorgente del fiume, situata proprio in questa conca, è un punto di grande interesse naturale. Il torrente, scorrendo placido, ci guida fino a “Sella Ciappa”, un edificio seminterrato con volta a botte, ricoperta di zolle d’erba. Questi particolari edifici, un tempo utilizzati per la conservazione dei formaggi, sfruttavano il parziale interramento e la copertura in zolle per mantenere temperature interne costanti e fresche, garantendo un ottimo isolamento dal caldo.

Poco distante, il sentiero che conduce direttamente al Rifugio Mondovì De Giorgio si snoda davanti a noi. Il nome “Mondovì” non è casuale: è un omaggio all’omonima città monregalese, al battaglione alpini del 1° reggimento e ai tanti volontari che contribuirono alla sua costruzione. Questo rifugio, situato a un’altitudine di 1.761 metri, è stato il primo della sezione CAI Mondovì, costruito nel 1929 e ampliato nel 1945. Dedicato alla memoria dell’alpinista Havis De Giorgio, rappresenta un punto di riferimento per gli escursionisti e gli amanti della montagna.

Il rifugio è immerso in un paesaggio naturale, lontano dal trambusto della vita quotidiana. L’isolamento geografico contribuisce a creare un’atmosfera di tranquillità e serenità, ideale per chi cerca un rifugio dal caos del mondo moderno.
Dalla posizione del rifugio, si gode di una vista panoramica che spazia sulle Alpi Liguri e sulla valle sottostante. Le cime maestose e i vasti pascoli creano un quadro naturale di rara bellezza, che cambia con le stagioni, regalando sempre nuovi spettacoli.
Il rifugio, con la sua storia che risale al 1929, è un omaggio alla tradizione alpina e alla dedizione dei volontari che lo hanno costruito. L’atmosfera è permeata da un forte senso di storia e di appartenenza alla comunità alpina, che si respira in ogni angolo del rifugio.

Proseguiamo il nostro cammino, iniziando a girovagare intorno alla Cima delle Saline. Questo monte prende il nome dal vicino Passo delle Saline, così chiamato perché posto sulla via un tempo percorsa per il commercio del sale tra Piemonte e Liguria. Risaliamo il crinale di un lungo dosso, e il sentiero si sposta sulla destra orografica, serpeggiando tra ondulati pendii prativi. Le numerose tracce, anche create dagli animali al pascolo, complicano leggermente l’individuazione del percorso corretto, ma senza eccessivi problemi, guadagniamo l’ampia e prativa insellatura di Porta Sestrera.

L’ambiente circostante è ricco di flora e fauna, offrendo l’opportunità di osservare la natura in tutto il suo splendore. Il silenzio della montagna, interrotto solo dal vento e dal canto degli uccelli o dalle mucche in alpeggio, permette una connessione profonda e rigenerante con l’ambiente naturale.
Ovviamente per raggiungere tale “isolamento” bisogna affrontare un trekking impegnativo, che aggiunge un senso di avventura e sfida all’esperienza. Raggiungere il rifugio è un’impresa che riempie di soddisfazione e orgoglio, arricchendo l’atmosfera di un senso di conquista personale.

Rifugio Garelli e l'anello dei Laghetti del Marguareis

Il Parco del Marguareis ha sempre esercitato un fascino irresistibile su di me, soprattutto il percorso che da Pian delle Gorre ti conduce al Rifugio Garelli, al cospetto della montagna più celebre del parco: il Marguareis!
Questa escursione non è particolarmente articolata, però giunti al rifugio c’è la possibilità di proseguire e chiudere il giro ad anello.

Il percorso come dicevo ha inizio a Pian delle Gorre dove i boschi di abete bianco ti accolgono con il loro silenzio e la loro bellezza.
Vi dico sin da subito che il dislivello positivo da Pian delle Gorre al Rifugio Garelli è di circa 1.081 metri, quindi non è un escursione adatta a tutti. Devi già avere una preparazione sopra la media.

Il Rifugio Garelli è situato su “un poggio” nei pressi del Pian del Lupo, è la prima e meritata sosta. Un ottimo punto di ristoro, ideale per riprendere fiato e godendomi il panorama e la tranquillità del pianoro.

Dopo una pausa ristoratrice, ho iniziato la discesa costeggiando il Gias Soprano del Marguareis, seguendo le indicazioni per il Passo del Duca. Questo tracciato di circa 8 km, ci da accesso ai Laghetti del Marguareis circondati da prati verdi e offrono un ambiente tranquillo e rilassante per affrontare i 900 metri di dislivello negativo che ci ricondurranno a Pian delle Gorre.

È una piacevole, quanto impegnativa escursione, fatta di sali e scendi, con una grande valenza naturalistica, permettendo di visitare uno dei luoghi più spettacolari delle Alpi Liguri.
La stagione migliore per affrontare questo giro ad anello è da giugno a settembre, e bisogna avere buone doti escursionistiche, data la presenza di rocce, campi solcati, estese fratture del suolo e grotte nascoste, soprattutto nella seconda parte del tracciato.

Il Parco del Marguareis unisce avventura, natura e cultura, offrendoti la possibilità di esplorare uno dei luoghi più affascinanti delle Alpi Liguri. Con la sua varietà di ambienti e la sua ricca storia, questa escursione è un must per chiunque ami la montagna e desideri vivere un’esperienza indimenticabile. Ogni passo del percorso mi ha regalato momenti unici e ricordi che conserverò per sempre.

 

Bric Berciassa: una passeggiata tra Storia e Natura

L’escursione al Bric Berciassa è un’esperienza che combina la bellezza naturale del territorio bovesano con la ricca storia archeologico della provincia di Cuneo.
Questo itinerario ad anello, situato tra Boves e Roccavione, offre una varietà di paesaggi e suggestioni storiche che affascinano ogni visitatore. Ideale sia per l’escursionismo estivo sia per le uscite invernali con racchette da neve, il percorso promette panorami mozzafiato sulla pianura cuneese e sull’intero arco alpino.

Il percorso si snoda attraverso ambienti affascinanti, caratterizzati da un mix di castagneti da frutto che creano un’incantevole combinazione di bosco. Il contrasto tra i castagneti curati e quelli abbandonati, insieme alle piantumazioni di abeti, aggiunge un tocco di mistero e bellezza al viaggio. Lungo il tragitto, gli escursionisti possono osservare numerosi segni di una vita passata: muretti e ricoveri in pietra a secco, edicole votive e pietre di confine. Tra queste, la pietra di confine triangolare tra i comuni di Roccavione, Robilante e Boves, visibile tra il Colle Bercia e il Pilone della Battaglia, è un particolare degno di nota.

Presso il Bric Berciassa, una spaccatura nella roccia nota come il Garb d’la Reina è legata alla leggenda di Giovanna I d’Angiò. Contrariamente alle Valli Gesso e Stura, dove è ricordata come una figura benevola, qui Giovanna è vista come una strega con zampe di gallina. Secondo la leggenda, questo segreto fu rivelato solo al termine della pestilenza che colpì la zona durante la sua permanenza.

Il Bric Berciassa è anche un sito archeologico di straordinaria importanza. Recentemente, è stato al centro di un ambizioso progetto di ricerca e valorizzazione intitolato «Alle origini della civiltà alpina: Bèc Bërchasa, recupero e valorizzazione di un insediamento protostorico». Promosso dall’amministrazione comunale di Roccavione, il progetto è iniziato concretamente nel luglio del 2017, con l’obiettivo di riportare alla luce e valorizzare questo prezioso patrimonio storico. Le prime fasi hanno visto una serie di attività di studio meticolose: dalla ricerca d’archivio alla revisione di materiali ceramici e resti faunistici, fino ad arrivare a una dettagliata ricognizione sul campo.

In conclusione, l’escursione al Bric Berciassa offre una splendida combinazione di paesaggi naturali, storia e leggenda. È un’esperienza ideale per gli appassionati e per chi desidera esplorare le meraviglie della pianura cuneese e delle zone circostanti. Questo itinerario non solo permette di immergersi nella bellezza della natura incontaminata, ma anche di scoprire le tracce di antiche comunità e le leggende che hanno plasmato la storia del territorio.

Grotta all'Onda: Alla scoperta di itinerari preistorici

Tra le montagne della Versilia c’è un luogo che incarna una magia selvaggia e che ti conduce in un luogo del passato: è la misteriosa Grotta all’Onda. Immersa nel verde di Camaiore, questa grotta risalente all’epoca preistorica, custodisce reperti che narrano storie antiche. Eppure, varcando la soglia della grotta, ci si sente più che mai come avventurieri catapultati un’altra era, pronti a scoprire i segreti sepolti sotto le rocce.

Seguendo le indicazioni per Casoli ci si dirige verso la località Tre Scolli, lungo il percorso CAI 106 ci si incammina lungo l’acquedotto, testimone silenzioso dei secoli che scorrono come l’acqua stessa. Il sentiero inizia dolcemente, invitando anche i più giovani a esplorare questo paradiso naturale. Ma presto, la tranquillità dei boschi lascia il passo alla sfida: una salita ardita che mette alla prova la nostra resistenza. Eppure, ogni passo è una conquista, ogni sforzo ricompensato dalla bellezza che ci circonda.
Arrivati a un punto panoramico mozzafiato, ci si trova di fronte a un’imponente grotta, dove una passerella di ferro invita a esplorare l’ignoto. Qui, tra le pareti di roccia scolpite dal tempo, si incontrano alcune “docce naturali”, piccole cascate che giocano con la luce del sole creando arcobaleni incantati tra la vegetazione.

Ma la vera meraviglia attende all’ingresso della grotta, dove ci si sente avvolti da un’ondata di freschezza e storia. Attraversando i suoi passaggi, ci si sente piccoli esploratori in un mondo sotterraneo, circondati da reperti antichi e dalla saggezza millenaria delle rocce. E mentre ci si riposa su panche di legno, osservando con rispetto il passato che si materializza sotto i nostri occhi, ci si rende conto che questa non è solo un’escursione, ma un viaggio nel tempo e nello spirito della natura. La Grotta all’Onda non è solo una meta escursionistica, ma un’esperienza che si porta nel cuore, come un tesoro prezioso tra le montagne della Versilia.

La Grotta all’Onda è un luogo che parla al cuore di chi la visita, unendo la bellezza naturale con la ricchezza storica. È un viaggio che non solo ci porta attraverso i paesaggi mozzafiato della Versilia, ma anche attraverso le epoche, permettendoci di toccare con mano la storia e la magia di un tempo lontano.