Simbolo identitario per tutti i cuneesi – quasi un’entità familiare per chi nasce ai suoi piedi – la Bisalta disegna nel cielo una cresta maestosa che unisce la Besimauda (2.230 m) al Bric Costa Rossa (2.403 m). Quel versante nord, tempestato di speroni e solcato da canaloni come rughe su un volto antico, scivola brusco verso la valle Colla in un abbraccio geologico. La sua sagoma bifida, inconfondibile anche dall’orizzonte più lontano, non è solo un punto cardinale: è un faro silenzioso che orienta esistenze, custode di storie che si confondono con le stratificazioni rocciose.
Ci sono diversi approcci per l’ascesa della Bisalta, io preferisco la via “più classica” con partenza da località le Meschie (1.230 m), che puoi raggiungere facilmente con la macchina. Lì oltre ad un ampio parcheggio c’è anche un rifugio molto carino e un’area attrezzata.
Il sentiero inizia nel bosco, con i suoi gradini naturali scavati dalle piogge, e prosegue sino a Sella Morteis (1.450 m), dove il respiro si fa più profondo: non tanto per la fatica iniziale, ma per lo sbigottimento di fronte a quella distesa di colline che sembra levigare ogni inquietudine.
L’osservatorio astronomico, costruito per catturare le stesse costellazioni che i nostri nonni leggevano senza telescopi, oggi è un monolite silenzioso. La lunga sterrata è una via di meditazione, un modo per assorbire lentamente il paesaggio. Raggiunta Costa della Mula con la sua baita solitaria, si oltrepassa l’ultimo avamposto prima del tratto finale: 200 metri di pietraia dove ogni appiglio diventa un pensiero tradotto in movimento. Le tacche giallo-bianche e rosse sono promesse sussurrate, una sorta di “sassi di Pollicino” per chi teme di perdersi lungo l’ascesa.
Si dice che tutta questa pietraia e roccia prominente sia opera del Diavolo in persona, che modellò la cima della montagna lasciando questa distesa di rocce.
La storia narra di un uomo ubriaco, che quella notte, maledisse la Bisalta che gli rubava la luce lunare sulla via di Madonna dei Boschi. Fu così che fece un patto col Diavolo! Quest’ultimo apparve di fronte all’uomo, e non proferì parola secondo la consuetudine del “silenzio-assenso”, gli porse carta e penna e lo invitò con la mano a firmare il contratto per formalizzare l’accordo. L’uomo, con la mano tremolante, prese in mano la penna e cominciò a scrivere nell’unico modo che conosceva. Nel mentre, gli sgherri del Diavolo erano già apparsi sulla cima della Bisalta intenti a scavare via la montagna.
Una volta ritirato il foglio e buttatovi lo sguardo il Diavolo trasalì: il montanaro, che si era rivelato analfabeta, nello spazio della firma aveva tracciato una croce. Quel simbolo, per lui nefasto, lo fece tornare all’Inferno con tutti i suoi diavoletti: la terra si aprì e li inghiottì. Il buon uomo ci mise un momento per riprendersi dall’esperienza trascendentale, ma una volta capito che poteva mettersi in cammino con la strada illuminata dalla luna s’incamminò di buona lena verso casa. Mentre nel cielo la luna sembrava quasi sorridere incastonata tra le due punte della Bisalta.
Mentre salgo, questa storia mi si attacca alle suole. Chissà quanti, come quel montanaro, hanno cercato “scorciatoie esistenziali” trovando invece la propria via proprio nell’ostacolo.
La vetta finale è una rivelazione: la pianura cuneese a perdita d’occhio è come un codice a barre di campi e paesi, mentre le due punte della Bisalta – cicatrici del patto mancato – incorniciano il cielo in un sorriso ambiguo.